Buona lettura
"Dicono che il Giappone è nato da una spada. Dicono che gli antichi dei hanno immerso una lama di corallo nell’oceano e che, al momento di estrarla, quattro gocce perfette sono cadute nel mare e che quelle gocce sono diventate le isole del Giappone. Io dico che il Giappone è stato creato da una manciata di uomini coraggiosi, guerrieri disposti a dare la vita per quella che sembra ormai una parola dimenticata: ONORE".
Con queste parole esordisce il film "L’ultimo samurai" e proprio a partire da questa frase ebbe anche inizio il mio interesse verso quella "manciata di uomini coraggiosi" che, a mio parere, più si avvicinarono al canone di guerriero perfetto e incarnarono in maniera invidiabile il valore dell’onore: i samurai. Nell'antichità il Giappone era suddiviso in tanti piccoli staterelli rivali l'uno con l'altro e viveva in uno stato di perenne guerra. I nobili richiamarono a sé dei guerrieri valorosi e fedeli: i samurai (dal verbo saburau = servire - essere al servizio). I samurai erano al completo servizio del proprio padrone (daimyô) e per lui erano pronti anche a togliersi la vita tramite il famoso rituale chiamato seppuku (differente dal hara-kiri = ventre-taglio, in quanto quest’ultimo tipo di suicidio serviva, invece, a lavare il disonore e riacquistare il proprio onore in precedenza perduto). Il legame tra samurai e signore era, infatti, fortissimo. Basti pensare che durante il X secolo la cerimonia di investitura del samurai era centrata su un giuramento che nel periodo Kamakura (1185 – 1333) veniva trascritto su un rotolo, kishomon, il quale, dopo essere stato compilato, veniva bruciato e sciolto in un liquido che il samurai beveva. In questo modo il bushi interiorizzava sia materialmente che simbolicamente il patto con il signore, che aveva fine solamente con la morte da parte di uno dei due contraenti. Gli obblighi del samurai verso il proprio signore erano molti: fedeltà, sottomissione, turni di guardia, fornitura di guerrieri, partecipazione alle spese per il mantenimento del potere da parte del proprio signore; in cambio il signore garantiva protezione, aiuto e ricompense dopo le battaglie. I principi che, quindi, legavano il samurai al signore erano fondamentalmente due: giri = dovere e chugi = lealtà. I samurai, dal canto loro, si dotarono di un codice d'onore: il bushido, che letteralmente significa "via del guerriero". Il punto fermo del bushido è l'onore sia in battaglia che nella vita comune; il bushido inoltre disciplinava i rapporti da tenere in uno stesso clan e con il proprio capo. Il samurai doveva essere sobrio, saggio, valoroso, modesto; in guerra doveva essere coraggioso e forte ma allo stesso tempo composto e magnanimo e naturalmente doveva avere un grande onore. Una delle doti essenziali del samurai, poi, era il giusto equilibrio tra azione e riflessione. La formazione ideale del samurai era un insieme di componenti, sociali, filosofiche, religiose. Il samurai fin da bambino imparava a non tradire nessuna emozione ed a controllare il suo spirito. Per fare ciò era necessario sacrificio ed ore e ore di esercizi. Lo zen fu fondamentale ad allenare e perfezionare il loro famoso autocontrollo, in quanto le sue tecniche insegnavano ad avere la totale padronanza delle proprie emozioni, dote fondamentale per un samurai sempre di fronte alla morte. Secondo lo zen la morte e la vita erano sullo stesso piano. Questa filosofia preparava al meglio il samurai al seppuku (il modo più onorevole che il samurai aveva per togliersi la vita e dimostrazione finale del suo coraggio). Questo rituale era considerato un privilegio riservato solamente ai samurai che avevano padronanza assoluta del proprio destino. Le occasioni per praticarlo erano: per seguire anche nell'aldilà il proprio Signore; per evitare di essere catturato dal nemico in caso di sconfitta; per contestare e fare cambiare una decisione presa da un Signore; come sentenza emanata dall'autorità. Al contrario il hara-kiri veniva praticato per colpe commesse verso un superiore o per evitare il disonore della sconfitta in battaglia. Per tutte queste ragioni è facile comprendere il motivo per cui a partire dal XII secolo i samurai o bushi ("uomini che combattono") costituirono la casta più importante della piramide sociale.

